De Invisibilitas Qualitatis.

Lei: sabato sera non andiamo a mangiare la pizza; ci sono I Camillas a Lugano.
Io: … ma, veramente…
Lei: ho già prenotato 2 ingressi.

Ore 22 circa. Arriviamo a Lugano dopo essere stati fermati svariate volte nel Mendrisioto dalla Polizia Cantonale. Parcheggiamo al solito autosilo perché il lungolago, tutto pedonalizzato, è presidiato dalle ennesime guardie in pettorina gialla fluo.

Dopo una certa quantità di km a piedi, raggiungiamo il bel Parco Ciani di fianco al Casinò, alla fine del lungolago. Ci mettiamo in fila al banchetto degli accrediti, scoprendo un po’ di tempo dopo che i ragazzi prima di noi (molto probabilmente ticinesi doc) erano in fila non si sa per quale motivo.

Finalmente entriamo nell’area concerto e ci sediamo (eh sì, è la regola del Festival di questa decima edizione) stando attenti a non schiacciare il gadget posto sulle sedie: degli occhiali da sole azzurri molto belli, probabile tributo a Mirko/Zagor Camillas, morto lo scorso aprile a 46 anni per colpa del Covid-19.

Ovviamente, trattandosi di festival svizzero, il concerto è già iniziato, così cerchiamo di capire chi siano tutti i personaggi presenti sul palco. Riconosciamo con una certa sicurezza solamente Ruben Camillas con la sua chitarra acustica e quelli che dovrebbero essere i membri della band originale (asset ritmico basso/batteria che mi sembra subito di altissimo livello), più casio/mooghista e chitarrista elettrico, molto talentuosi anche loro. Nelle retrovie altra gente, un tipo seduto in disparte (che poi si paleserà come il più grande artista su quel palco) e uno che sembra Calcutta. Qualche canzone dopo, scopriremo che è veramente Calcutta.

Il bello e il brutto dell’Internet.

Ascolto un paio di pezzi che non avevo mai sentito, tra cui “L’Anca”, clamoroso pezzo dancepop, un po’ Offlaga Disco Pax e un po’ Lo Stato Sociale, ma con il mood empatico e divertente tipico dei Camillas.
La mattina dopo avrò modo di approfondire la conoscenza di “Discoteca Rock”, album del 2018 incredibilmente mai ascoltato veramente bene.

Come accennavo prima, la più grande mia scoperta della serata, oltre a quei due-tre pezzi dei Camillas, è un personaggio veramente strepitoso che in un paio di interventi prende la scena con una voce lo-fi potentissima, testi surreali e un livello artistico/poetico una spanna sopra tutti gli altri.

Trattasi di Gioacchino Turù, presentato durante la serata come “Giacomo Laser (suo pseudonimo su YouTube) e la sua orchestra”.

Anche in questo caso, la mattina dopo ringrazierò Google, YouTube, Spotify e tutti gli altri potenti strumenti che l’Internet mi mette a disposizione per scoprire, riascoltare e approfondire tutto quanto, maledicendo altresì anche il rovescio della medaglia digitale:

ma è possibile che fino a oggi nessun ignorante algoritmo, feed, release radar o discovery playlist mi abbia mai consigliato tutta questa Musica per me fondamentale?

E ritornano i temi su cui ho già riflettuto e scritto in passato: molto probabilmente tutta questa infinita disponibilità di librerie audio a portata di click (o di tap), invece di aiutarmi a scegliere liberamente, mi ha reso in realtà solo più distratto e disorientato. In questo sistema vizioso dominato dalla visibilità vs. qualità e da tutta questa intelligenza artificiale che il più delle volte è stupidità mal-progettata, il rischio che si corre è quello di essere molto spesso obbligati scegliere non chi ci piace di più o chi secondo noi ha più talento, ma chi è più bravo a catturare la nostra attenzione.

Il discorso non vale solo in campo musicale, ma in tutti quei “mercati delle superstar” descritti da Alan Krueger in “Rockonomics”.

Ovviamente, poi, c’è anche il pessimo gusto di chi ascolta: perché se l’ormai classica cagata di J-Ax diventa il puntuale tormentone estivo, non è solo colpa di Spotify o YouTube.

O forse sì…

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