Taylor Swift e i «negozi di dischi».

Giovani e vinili.

Per Taylor Swift (artista, social media influencer e grande imprenditrice musicale, classe 1989), gli ormai quasi estinti (almeno da noi in Italia) negozi di dischi, sono sacri: «I luoghi in cui andiamo a curiosare, esplorare e scoprire musica nuova e vecchia sono sempre stati sacri per me. I negozi di dischi sono così importanti perché aiutano a perpetuare e promuovere l’amore per la musica come passione».

Pubblicità del vinile Midnights di Taylor Swift all'esterno di un negozio di dischi

Il dubbio che questo endorsement dell’acquisto all’interno dei record store «fisici» sia stato progettato strategicamente per la vendita delle copie dei suoi album in vinile, mi viene…
È vero, comunque, che durante i giorni tristi e difficili del lockdown, Taylor Swift abbia aiutato concretamente tanti negozi indipendenti, sfruttando positivamente la sua capacità di influenzare il mercato, grazie ad una potenziale «social media reach» immensa.

Midnigths, il decimo album di inediti della cantautrice statunitense uscito lo scorso ottobre, ha venduto 575 mila copie in vinile solo nella prima settimana negli Stati Uniti, contro le 395 mila copie in cd (e le 10 mila musicassette); diventando il primo album ad essere venduto più in vinile che nel formato CD dal 1987 (l’anno di Bad di Michael Jackson).

Il primato di Midnights rappresenta un ulteriore passo in avanti in questa sorta di processo di evangelizzazione analogica da parte di Taylor Swift, rispetto ad esempio a quando, nell’autunno di un anno fa, venne rieditato l’album Red (Taylor’s version) in vinile.

In quell’occasione, molti giovani fan della popstar non avevano neanche tanta dimestichezza con quella modalità d’ascolto del tutto nuova per loro. Ricordo che ai tempi divenne virale l’«unboxing» della giovane fan che si lamentava della voce maschile, causato in realtà dall’errata velocità di riproduzione (l’album venne infatti stampato per essere riprodotto a 45 giri, anziché a 33).

Uno studio di Luminate del 2023 aveva per altro evidenziato che il 50% delle persone (intervistato negli Stati Uniti) che nell’anno avevano acquistato dischi in vinile, non aveva la possibilità di ascoltarli direttamente, in quanto sprovvisto di giradischi.

Non voglio addentrarmi in considerazioni sulla qualità del vinile rispetto al supporto digitale o all’odierna musica liquida; né riflettere su quanto ci sia di modaiolo, instagrammabile o di puro collezionismo nel prodotto in vinile (a volte più legato al concetto di merchandising che a quello di prodotto).

Vorrei solo prendere spunto dal successo del long-playing di Taylor Swift per una breve riflessione sui «punti d’acquisto» del prodotto musicale, che potrebbe essere estesa a tanti altri negozi fisici contemporanei.

Il valore aggiunto del negozio fisico.

set LEGO di un negozio di dischi

Oltre alla fruizione, un’altra esperienza cambiata radicalmente nello scenario musicale contemporaneo rispetto agli anni ’80 e ’90 è sicuramente quella dell’acquisto.

Nel secolo scorso, durante gli anni del liceo (1985/90), per me e i miei amici andare al negozio di dischi il sabato pomeriggio era un rito irrinunciabile: entravi alla «Casa del Disco», sfogliavi tutti quei dischi con quelle copertine strepitose e ascoltavi qualche traccia con delle enormi cuffie che ti isolavano in maniera perfetta, senza bisogno della funzione di «noise cancelling».

Tutto intorno era un viavai di personaggi appartenenti a sottoculture ben riconoscibili: dal punk alla ricerca di un biglietto per il concerto di Joe Jackson al Palatrussardi, al DJ con i guanti da scratch diretto al piano interrato, riservato all’arte del mix e del turntablism.

Nella seconda metà degli anni ’90 mi piaceva fare acquisti alla «Fnac» di Corso Torino a Milano.
Lo spazio era molto ben progettato dal punto di vista del layout, dei flussi e della comunicazione visiva. Ricordo dei totem sparsi nel negozio, grazie ai quali potevi ascoltare una selezione di CD seguendo degli specifici percorsi musicali tematici.

Attualmente nella mia città non esiste più il negozio di dischi. Sopravvive solamente quello di vinili in centro, grazie appunto al revival modaiolo dei 33 giri che, anche in Italia, si sta probabilmente spostando da un pubblico hypster a quello della Gen Z, portando ricavi e quote di mercato in continua crescita.

Stanno scomparendo del tutto anche i reparti musica delle grandi catene di distribuzione e i mitici cestoni dei CD in superofferta negli autogrill.

Tempo fa, un anziano Walter Veltroni, durante una puntata di I Miei Vinili, la bella trasmissione (purtroppo cancellata) di Riccardo Rossi, descriveva il periodo in cui la gente faceva la fila davanti ai negozi di dischi per aspettare l’arrivo delle copie di Sgt. Pepper dei Beatles. Una volta arrivato lo scatolone, i commessi estraevano i 33 giri con quella copertina splendida e le persone in coda, a turno, potevano finalmente ascoltare per la prima volta il disco prima di decidere se acquistarlo.

Da un sacco di tempo l’intera esperienza d’acquisto si è spostata sui siti o sulle applicazioni dei grandi distributori di contenuti e prodotti musicali.
Oggi, con Amazon che ti consegna CD e vinili a casa in un giorno, Apple MusicDeezerSpotify e YouTube Music che ti mettono a disposizione tutto il catalogo musicale mondiale in streaming a basso prezzo (oltre all’eventuale vendita delle singole tracce a 99 centesimi, in un più che dignitoso formato compresso), si è persa l’esigenza e la voglia di andare ad acquistare in un negozio di dischi.



[ A meno che, ovviamente, non si tratti di un negozio come quelli di Amoeba Music ]


Alta Fedeltà (High Fidelity), film del 2000 tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby, rimane il mio film di riferimento sull’argomento. Racconta di musica, compilation su audiocassette (i superartistici mixtape), classifiche e negozi di dischi…

Il protagonista (John Cusack) è Rob, il proprietario del Championship Vinyl, negozio di dischi alla periferia di Chicago.

In questa scena, Rob si guarda attorno e capisce che potrebbe essere il momento giusto per vendere una delle cinque copie della compilation The Three EP’s di The Beta Band; così lo sussurra all’orecchio di uno dei suoi due strampalati commessi (l’altro è interpretato da Jack Black), il quale fa partire in sottofondo Dry The Rain, la prima traccia del disco…

Questa sequenza mi fa venir voglia di aprire quello che oggi potrebbe essere non più un negozio di dischi, ma un «Negozio di Musica»; un posto che crei del valore aggiunto che giustifichi la fatica di essere entrato in un negozio anziché aver navigato su Amazon. (Ovviamente se avessi un degno budget da investire…).

Più che un negozio, un Club in cui venire accolto da persone veramente interessate e competenti e non da un’interfaccia dinamica che mi consiglia qualche CD che già ho, o da un algoritmo che ha ancora ben poco di intelligente.

Uno spazio culturalmente stimolante in cui scoprire e ascoltare qualcosa di nuovo, incontrare una band locale che si esibisce, vedere video musicali o frammenti di film o serie tv con colonne sonore strepitose tipo Pulp Fiction, The Blues Brothers, Quadrophenia, Hanna, Lost in Translation, Scott Pilgrim vs. The World, Stranger Things

Sicuramente meglio che rovistare nei cestoni delle offerte dell’Iper o di MediaWorld…

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